Giocare, disegnare e sognare

Gioco e disegno possono entrambi consentire al bambino di elaborare aspetti conflittuali consci e inconsci, esperiti nelle sue relazioni. Essi hanno quindi un’importante matrice comune e non di rado il bambino li usa entrambi, alternandoli con spontaneità. Tuttavia mentre il gioco si nutre, soprattutto nel bambino piccolo, di azione prima ancora che di narrazioni, il disegno richiede un’inibizione importante della motricità attiva del corpo. Inoltre, il gioco presuppone l’uso di oggetti già presenti nella realtà: essi possono essere usati dal bambino in modo libero e non congruo all’uso per cui sono destinati e il bambino può anche inventare e costruire oggetti mancanti. Nel disegno invece il bambino viene confrontato con una mancanza assoluta; nulla è già pronto fuori di sé che possa poi essere trasformato. Quando un bambino disegna, tende a rimanere maggiormente concentrato in se stesso e questa intima disposizione spesso si estende oltre la fine dell’azione del disegnare. Mentre disegna l’azione è subordinata a un intenso processo immaginativo. Le favole sono in una certa misura imparentate con il gioco nel senso che il gioco può essere visto come una favola gestita in proprio, e viceversa una favola può essere vista come una forma di gioco fra genitore e bambino. Non di rado infatti i genitori accentuano con la voce alcune vicende particolari oppure il bambino chiede di soffermarsi su qualche dettaglio. Questi particolari possono poi variare nel tempo a seconda delle necessità emotive e del grado di sviluppo del bambino. In questo senso una favola, proprio come un gioco, può essere ripetuta innumerevoli volte sia per il piacere di padroneggiare attraverso l’anticipazione i contenuti più inquietanti sia, come nella musica, per esplorarne infinite variazioni. Le favole in un contesto famigliare servono a genitori e bambini per creare e condividere un “luogo immaginario” dove possono essere rappresentati i conflitti.

 

di Antonino Ferro, Elena Molinari