Il senso del sé a due anni

Ognuno di noi è costituito dal patrimonio con cui nasce, o con cui è stato concepito, che rappresenta la nostra eredità genetica, e nel contempo, con pari importanza, da ciò che accade mentre la nostra personalità si sviluppa. I due aspetti interagiscono tra loro, anche se ancora non è chiaro il peso relativo dell’eredità genetica e delle esperienze che avvengono durante lo sviluppo. Sicuramente un aspetto non esclude l’altro – la tradizionale dicotomia tra “natura” e “educazione” – ma l’interazione complessa tra questi due aspetti modella il sé che mostriamo da adulti. Non vi è alcun dubbio che ognuno di noi nasce come individuo unico, dotato di caratteristiche e potenzialità particolari. Ma la direzione in cui questo patrimonio originario si sviluppa e la misura in cui le nostre potenzialità si realizzano sono enormemente influenzate dalle circostanze. Una ghianda non diventerà mai un tulipano, ma il fatto che si trasformi in una quercia possente e secolare dipende non solo dal suo patrimonio genetico, ma anche dal terreno in cui cade e da tutto ciò che accadrà successivamente.
A due anni il bambino sviluppa il senso di essere individuo unico, quella sensazione che gli fa dire “questo sono io e faccio questo”. Questa infatti è proprio l’età in cui il bambino comincia a usare le parole “io” e “me”, anche se in realtà il loro significato è molto più importante delle parole esatte che utilizza. In questa fase il bambino esplora il proprio mondo personale e comincia a intraprendere quel lungo viaggio verso l’età adulta che lo porterà a percepire se stesso come una persona indipendente dagli altri.


Cosa sapere su tuo figlio – Lisa Miller