Durante la gravidanza, il dialogo tra il bambino e la voce della madre è asimmetrico: egli sente la voce, ma vi risponde con i mezzi di cui dispone, che non comprendono la voce. E’ la nascita, con l’entrata in funzione della respirazione, che instaura la possibilità di un dialogo vocale “alla pari”. Con la voce, il bambino acquista il potere di affermare la sua presenza a livello sonoro, per chiamare, comunicare, piangere, ridere, cantare, evocare, conversare. Accanto allo sguardo, alla mimica e ai movimenti, la voce del bimbo è, fin dalla nascita, uno dei canali attraverso cui il bimbo e la madre si sintonizzano sulla stessa lunghezza d’onda affettiva e il piccolo soddisfa il suo bisogno primario di reciprocità emotiva. I primi suoni emessi dal bambino le vocalizzazioni, le lallazioni e il balbettio, rappresentano i precursori del linguaggio verbale e della comunicazione lessicale. Sembra che la potenzialità di giocare affondi le sue radici nelle origini di un’attività protomentale, nei tempi remoti, a monte della nascita, in cui si forma una memoria, un contenitore in grado di conservare e far tesoro di esperienze passate e di apprendere dall’esperienza. La potenzialità del linguaggio e quella del gioco nascono da una stessa origine e rimandano costantemente l’una all’altra come viene mostrato da alcune osservazioni di bambini nei primi mesi di vita. E se accade invece che la comunicazione non
si stabilisce? Se il bambino non cerca l’attenzione degli adulti? Alcuni segnali che devono destare l’attenzione delle famiglie, con una riflessione sul rischio dell’instaurarsi di un circolo vizioso di ritiro reciproco il quale, se non viene affrontato tempestivamente, può sfociare in un isolamento autistico vero e proprio del bambino.
di Suzanne Maiello
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